domenica 4 aprile 2021

non essere Virginia

 Ogni volta che penso: devo istituire una regola, da ora in poi. Ogni volta che penso da ora in poi, finisce male. Perché qualcosa in me rifiuta l'assoggettamento al tempo. IL fatto di pensare: io domani e dopodomani più o meno alla stessa ora mi sederò qui, come Virginia Woolf, per esempio, e scriverò il diario. 

Prima di tutto io non sono Virginia. 

È terribile. 

Virginia poteva sedersi perché aveva intorno tutto un contesto giusto, un dove sedersi, il giardino fuori, quella specie di pace giusta, una misura perfetta che la circondava e l'ammantava tutta di quel suo essere perfetta là dov'era, nella sua grandezza, nella sua pazzia triste e perfetta. I gesti cauti, misurati, la tazza di tè. Come doveva essere naturale e bello, essere Virginia. 

Io ho comprato un libro  di fotografie del giardino di Virginia. Ho sbavato su quel libro. Volevo tutto. Tutti i fiori, tutto il giardino, tutto il cielo, tutto il profumo che le stava intorno. Anche i mattoni della casa, anche le zolle di terra, avrei mangiato.

Perciò io non sarò mai Virginia, lei non sbavava. 

Continuerò a scrivere questi appunti consapevole del fatto che non comporranno mai un opus magnum. 



mercoledì 15 aprile 2020

diario 2

mi fumo del tabacco e mi bevo del porto.
non so da dove ripartire perché le giornate, in particolare oggi, sono una cosa sulla quale scivolo un po' così. il problema mi pare sia il tempo. il tempo dedicato. è come se il futuro si fosse ristretto. senza l'aria, la prospettiva si restringe talmente tanto che qualsiasi esercizio di distensione diventa incerto.
inoltre c'è il problema dell'eroismo. non c'è spazio per alcun eroismo. neppure la morte, adesso, può essere eroica. si tratta di morti senza nome, morti tutte in fila e anonime. l'anonimato di un'umanità compita e contrita. quello che non è riuscito alla religione sta riuscendo alla pandemia. il peccato, la colpa. siamo colpevoli di avere un corpo, un ingombro.
gli uccelli. questa mi pare l'era degli esseri lievi e leggiadri. leggeri. con le fattezze più da anima.
non sopporto più niente. la mia sensibilità ha una soglia di tolleranza zero. zero per la voce degli altri al telefono via internet in ogni forma. ma anche la mia stessa voce mi risulta eccessiva. che bisogno ho, della voce? quando vorrei dileguarmi. la non esistenza è, al momento, la forma migliore, più virtuosa di esistenza.
mai, credo, è accaduto di ambire al nulla più sconsiderato. alla nullità del pulviscolo impalpabile.
il canto degli uccelli. il vento.
ascolto il vento.
ascolto i suoni del fuori. la natura che recupera spazio con lentezza.
la lentezza che pervade ogni ora, ogni gesto.
ho comprato tre piantine di zucca, una piantina di peperoncino e una piantina di pomodori.
ho piantato nell'orto le mie piantine. ho zappato la terra. zappando mi sono sentita una impostora. ho zappa con le mani inutili, con forza discutibile.
ma ho zappato con vigore inedito.
non so fare altro al momento.
non so proporre altro, alla terra.
la sera, tutte le sere, provo nostalgia per qualcosa.
la nostalgia, in questo momento, è un privilegio.
avere qualcosa per cui provare nostalgia è come avere una scatolina segreta. una riserva di sogno.
la voce e alcune parole gentili che ricordo di aver sentito. erano mie.
riabilito tutte le voci gentili. le rianimo.
sono, ora, la mia sola salvezza.




martedì 14 aprile 2020

diario 1

la situazione è la seguente: sul calendario di aprile c'è una sola data segnata. un tondino che circonda il 23. è il giorno in cui dovrò mettere il non differenziato vicino al tombino.
la situazione è la seguente: non c'è niente.
dopo, a maggio, neanche un tondino.
sono sola col cane da oltre un mese e ci facciamo compagnia. lui sta sdraiato sul divano e aspetta le passeggiate. facciamo due passeggiate, una al mattino e una la sera.
a volte, durante le uscite, succede qualcosa di inaspettato. un evento o qualcosa che gli assomiglia molto, che mi lascia col fiato sospeso qualche minuto.
una volta ha visto un fagiano e l'ha inseguito per un po'. una volta si è messo a correre lungo la collina e di lui vedevo solo la scia nel grano. le emozioni forti finiscono qui.
il resto del tempo lo passiamo sul divano o, quando mi sveglio piena di buone intenzioni, a fare un tutorial di yoga sul tappetino.
il mio cane si chiama Orlando. è un nome che aveva già quando l'abbiamo adottato. una volta avevo un marito. è stato con lui che abbiamo deciso di prendere orlando. siamo andati vicino a un casello dell'autostrada e abbiamo mangiato un panino e abbiamo aspettato che arrivasse la staffetta. quando la staffetta è arrivata ha svuotato il furgone che era piano di cani e gatti da adottare. a turno tutti andavano a prendersi il loro animale. anche noi, quando abbiamo sentito il nome Orlando, siamo andati vicino al furgone. la signora del furgone era bassa e tozza, molto volitiva. aveva i capelli spazzola e l'aria da camionista. ha sollevato Orlando e la posato per terra. Lui teneva la testa bassa come se stesse chiedendo scusa. l'abbiamo sollevato e l'abbiamo portato in macchina. durante il viaggio di ritorno per tutto il tempo abbiamo pianificato la vita. parlavamo di grandi cose. grandi progetti intorno a questo nuovo cane. ma tutti questi progetti poi si sono arenati. io e Orlando siamo rimasti a vivere per conto nostro e mio marito ha preferito andarsene da un'altra parte, perché gli davamo sui nervi.
la notte, e a volte anche la mattina molto presto, mi sveglio perché ho paura di morire. la paura di morire mi fa sentire un grande senso di mancanza d'aria all'altezza del cuore. penso: se muori adesso, chi saprà quello che potevi ancora fare se non fossi morta?
e dopo mi dico: oggi farai tutto quello che è in tuo potere per remare dalla parte della vita.
penso di mangiare cose sane e di non fumare. butto il tabacco, dico la mattina. basta farsi del male.
poi quando arriva la luce è come se molte cose svanissero.
una volta quando ancora avevo questo marito, io attribuivo a lui l'arte di riportare la luce. invece no. la luce arriva lo stesso. anche senza di lui.

al telefono mi lamentavo con mia madre. non so cosa fare, le dicevo. cosa vuoi fare? diceva lei. non so. scrivere non mi va. mi sembra una cosa intuibile scrivere.
allora non scrivere, dice lei. fai l'orto. almeno, alle brutte, hai qualcosa da mangiare.
l'ifa dell'orto mi piaceva, anche se non sapevo proprio da che parte di comincia.
prendi un pezzetto di terra e lo zappetti, poi compri i piantini e li ficchi nel terriccio - ha detto mia madre.
dove lo prendo i piantini?
li compri alla serra.
che piantini devo comprare?
prendi i piselli e un po' di altra roba - ha detto mia madre.

lei, i suoi orti, li fa sempre che sono un casino. nell'orto di mia madre non si sa mai dove sono le cose. cammini nel suo orto, guardi per terra, sposti le erbacce e sotto puoi trovarci uno zucchino e dei pomodori  striscianti.
ma non bisognava mettere i bastoni per farli arrampicare, le avevo chiesto l'anno scorso.
sono filosofie. i pomodori crescono lo stesso, anche senza il bastoncino, solo che ti devi chianare, ha detto mia madre.
mia madre voglio dire, tutto quello che fa lo fa alla cazzo. però, questo lo devo ammettere, alla fine le cose nascono e crescono.

ho cominciato a fare l'orto. e questo grazie al padrone di casa che mi ha messo a disposizione un po' del suo terreno. il padrone di casa mia si potrebbe dire che sia l'opposto, l'antitesi, la nemesi di mia madre. è ordinato in tutto, anche nell'orto. ha due vasconi per l'acqua e i terrazzamenti con le strisce per piantare. nel suo orto mi ha detto, scelga un posto che le piace e zappetti pure. mi ha lasciato anche la sua acqua per bagnare.

il primo giorno mi sono data molto da fare con la zappa (la zappa me l'ha prestata lui).
ho zappettato la terra e mi sono sentita felice.
ho chiamato due miei ex fidanzati per dire loro : ho fatto l'orto. si sono complimentati e entrambi hanno detto più volte che era un'ottima idea, perché secondo loro io avevo bisogno di questo tipo di cose. concrete, reali. che avevano a che fare con la terra. anche per quella questione della notte e del mattina presto.
ho mandato in giro le foto del mio pezzetto di terra zappettato, per far vedere che quello l'avevo fatto io, con le mie mani.
dopo mi sono accucciata a frantumare la terra che era rimasta ancora a zolle tra le dita. frantumavo le zolle, una ad una, con le mani e intanto erano le otto e quasi mezzo. era tardi e il tempo era passato in un modo bellissimo. era come se il tempo andasse allo sesso passo della vita, senza scivolarci sopra.
allora mi sono detta che la vita dovrebbe essere sempre così, andare a quel passo. essere piena di un tempo che danza allo stesso ritmo dei gesti e delle zolle di terra.
premi sentivo anche una novizia. come una che crede di aver capito tutto ma che non ha capito niente.
le mani dopo, quando mi sono tolta i guanti, erano piene di vesciche e mi bruciavano.
sono tornata a casa e ho chiamato mia cugina.
guarda che mani, le ho detto.
lei ha guardato le mani e si è complimentata. brava, ha detto. credo sia stata una scelta molto saggia.
Anche lei lo pensa.
Tutti pensavano questo di me, che dovevo fare l'orto. Perché nessuno me l'ha detto prima?

il romanzo che stavo scrivendo era di ottanta pagine. poi ho ricominciato a lavorarci ed è diventato di quaranta. poi a furia di lavorarci e lavorarci sono rimaste dieci pagine. tutto il resto mi sembrava inutile o disonesto. un gigioneggiare col passato e con i sentimenti.
Ho chiuso il file. Con questo è il terzo file di un romanzo che prima asciugo e asciugo e poi chiudo.
E' come se le storie non mi convincessero. la trama, anche se è una trama vera, la sento che via via diventa artefatta. perché è la trama, proprio la trama, che alla fine diventa una specie di parodia di se stessa. la trama è inconsapevole quando si crea, ma dopo, nel descriverla, è come se si vestisse di qualcosa che non era suo.  un vestitino da festa, che la rende insopportabile.
nelle vite, le cose davvero importanti sono sparse a caso, non fanno parte di una parabola precisa. appena cerchi di inserirla in una parabola hai tradito il lavoro di trasposizione.
una vita dovrebbe essere suggerita. come un mosaico di cui sono rimasti solo alcuni tasselli. da quei tasselli, chi vede il mosaico, ricostruisce l'immagine del tutto. ma il tutto è perduto. forse non è neppure mai esistito.




sabato 23 settembre 2017

la più arresa

una cosa su cui ho riflettuto in questi giorni è che il più delle volte dire che una determinata cosa è buona anche se fa schifo, fa sì che in seguito risulti meno scandaloso sostenere, parlandone, che sia stata buona anche quando oggettivamente tutti ricordano quanto fosse schifosa e scadente, perché tutti, sia chi lo sosteneva che chi la recepiva, si saranno in qualche modo assuefatti all'idea che ciò che accade si dimentica e che quello che resta di ciò che accade è la sua rappresentazione. Se la rappresentazione è subito mistificata (per ragioni varie, dalla convenienza al quieto vivere) quasi nessuno avrà la voglia e le energia di mettersi a sostenere che la tal cosa, tanto osannata, era a tutti gli effetti una vera merda e che la sua rappresentazione non rappresenta affatto ciò che millanta di rappresentare. Perché in fondo, anche per dire e dirsi la verità, ci vuole una motivazione forte; se questa motivazione forte non c'è, ad un certo punto tutti si adagiano su una versione dei fatti che è la più confortevole e, nel contempo, la più arresa, la più rassegnata.

venerdì 4 agosto 2017

il mondo dei cani

i padroni sanno tutto

parlano e dicono quello che sanno del loro cane e degli altri, anche del tuo.
tengono il guinzaglio attorno al collo. Se il guinzaglio è consumato, significa che hanno molta esperienza.
Al parchetto dei cani ci sono le amicizie, le simpatie, le antipatie.
Certi cani sono molto aggressivi, gratta gratta, viene fuori che il padrone è uno stronzo.Al parchetto, se becchi lo stronzo, devi andare via, perché lo stronzo vuole tutto il pacchetto per i suoi cani, che non vanno d'accordo con nessun cane perché sono molto aggressivi. Io te l'ho detto, dice il padrone stronzo, come dire: ti ho avvisato. Come dire: ti ho minacciato.
I cani che vanno d'accordo tra loro vanno coltivati, bisogna impararne il nome, per compiacere i padroni.
I padroni dei cani che vanno d'accordo col tuo, vanno gratificati e con loro bisogna istituire un rapporto di solidarietà, e di alleanza. Contro i padroni dei cani che non vanno  d'accordo col tuo.
Per il padrone il suo cane è santo.
Quasi sempre i padroni dei cani parlano male dei padroni dei cani che non vanno d'accordo col loro cane.
I padroni dei cani conoscono i cani degli altri padroni dei cani che vanno d'accordo con il loro  e li chiamano per nome. Conoscono il nome dei cani che vanno d'accordo col loro cane e il nome del padrone dei cani che vanno d'accordo con loro.
Fanno alleanze.
I padroni dei cani, se vedono un cane di razza meticcia, subito cercano di indovinare che cane è: Ha del labrador, ha del pastore tedesco. Non si rassegnano, vogliono indovinare.
I padroni dei cani hanno le loro teorie che non vanno né contestate né messe in discussione perché sono come delle religioni.

febbre (prose brevi)




Ho il sapore dell'aria in bocca, vorrei dirti: Tieni a mente tutto tu. Non ricordo se era prima o dopo che hai portato in casa l'acqua. Prima o dopo hai chiuso la porta. L'ho sentita chiudersi - ho pensato alle pantofole e alla tua fissa del pulito che andava insieme ai tuoi passi, al profumo della federa. Hai portato dei fiori, li ho visti passare oltre la stanza,
me li hai fatti vedere dalla porta, sollevando il mazzo come una vittoria allegra, distante. I malati non gli odori intensi.
Non so cosa sia accaduto poi, quando non c'ero.
Mentre non ci sono stata.
Ieri il sole era caldo ma non mi hai portata fuori.
La stanza era scura, ti ho detto, sentivo i fischi delle navi, i libri sul letto mi hanno tenuto compagnia.
Conosco il tempo che impieghi a tornare dal lavoro
ma non so cosa fai là dentro, mentre dormo insonne.
Quando rincasi sei ancora lo stesso, il riso ha il solito sapore buono, di attesa appagata. La luce bagna il tavolo di cucina con le sue strisce sottili. Versi due bicchieri d'acqua
Da quanto tempo, non beviamo vino?
Domani - mi dici uscendo, domani facciamo l'amore - tieniti pronta.
Io cammino, per la prima volta e la sveglia, sul comodino, segna le sette, di sera - respiro, c'è il vento e guardo i tetti. Aspetto.
(2006|2017)

mercoledì 19 luglio 2017

diario del viaggio di nozze


in mezzo all'erba c'era una vipera. non faceva male a nessuno. stava nell'erba come una cosa tra le altre. ho battuto col bastone per vedere se aveva la testa piatta. le vipere mi avevano detto, le riconosci perché hanno la testa piatta. aveva la testa piatta. era dunque una vipera. dal gran battere il bastone si era anche rotto. lei si era mossa poco come dire, che hai? tutto sto battere.
allora mi ero vergognata.
la vipera si era intrufolata nel gradino della casa, era andata ancora più dentro. dopo non l'ho più vista, ma sapere che c'era mi metteva in agitazione. non volevo che si ricordasse che volevo valutarle la testa.